Sono un pezzo di carta
strappato dagli sguardi sfuggenti
di chi passa e non vede.
I miei sospiri si dissolvono
nei passi frettolosi
del mondo che scorre
accanto al nulla che mi circonda.
Fievoli ricordi vegliano
la carcassa che trascino
nell’abisso della mia identità,
tradita dal debole essere
dell’ uomo finito che fui.
L’unica coperta
in cui mi avvolgo nella notte
è l’ombra del vento
che mi scalda
bruciando quel che resta
della mia dignità violentata dalla vita.
La pietra di questa panchina
è la mia clessidra,
pioggia di sabbia,
scorre lenta tra gli attimi d’eternità
- la più grande condanna -
rallentati dal grigio morto
della mia inconcludenza.
L’unica ricchezza che ho
- mia compagna da sempre -
è la solitudine che abbraccia
i miei giorni,
punendo le colpe di un’esistenza
che mi ha reso un essere invisibile,
agli occhi degli uomini
e a quelli della mia stessa anima.