22/02/10

Il Teschio del Capitano – Parte I

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*Testi in collaborazione con Roberto Sonaglia

Premessa

Questa storia è ispirata ad una nota leggenda popolare. Si dice sia un fatto realmente accaduto più o meno a metà del diciannovesimo secolo. Sconvolse l’intera città di Napoli. Fu così eclatante, che si tramanda da generazioni, sul web ci sono diversi siti che raccontano il fatto, in diverse versioni, tra cui Wikipedia. Io racconto a modo mio quella che narrava mia nonna, alla quale ho sempre creduto.

Ovviamente la storia popolare è molto breve, fatti, situazioni, luoghi (a parte il cimitero stesso), e personaggi esposti nel racconto seguente sono totalmente frutto della mia immaginazione.

Il Cimitero delle Fontanelle è detto anche Cimitero delle anime pezzentelle, perché in tempi molto antichi lì venivano riposti i resti di gente povera, che non poteva permettersi un’adeguata sepoltura. A quanto ne so, per lo più ci sono le spoglie delle vittime della peste che colpì Napoli quattro secoli fa, o soldati morti ai tempi degli spagnoli. Ma non si esclude ci siano anche resti di personaggi illustri. Si dice addirittura che lì, nel 1837, siano stati portati quelli di Giacomo Leopardi, anno in cui morì il poeta, vittima dell’epidemia di colera che colpì la città.

 

Il Teschio del Capitano

Prima Parte

Carmela, in comune con tutte le altre ragazze della sua età, aveva un sogno: sposarsi e portare il cognome del marito, e quello dei suoi futuri figli. Non era molto rilevante con chi farlo, a quei tempi la cosa importante era sistemarsi, e lei che ormai aveva raggiunto un’età che cominciava a farla additare da tutti come la zitella del quartiere - anche se non aveva ancora vent’anni - ne soffriva molto, soprattutto perché le sue coetanee erano tutte quantomeno fidanzate, o promesse spose. Quello che la preoccupava maggiormente era la sua fisicità: il pallore del viso e l’eccessiva magrezza, le davano un aspetto alquanto malaticcio, che gli uomini dell’epoca – e non solo loro – reputavano poco attraente.

La sua amica Concetta un giorno le parlò del Cimitero delle Fontanelle, giurando aver trovato la sua fortuna da quando aveva preso sotto le sue cure il teschio di una delle anime pezzentelle, i cui resti giacevano in completo anonimato proprio lì, chissà da quanto tempo. Concetta era convinta che il suo teschio appartenesse a qualche valoroso eroe del secolo precedente, che non aveva avuto una degna sepoltura perchè secondo lei i veri eroi muoiono senza gloria. Forse era proprio così, ma in realtà Carmela pensava che quel teschio appartenesse soltanto a uno di quei poveretti morti durante la peste che colpì Napoli circa due secoli prima, nel 1656, per essere precisi. Ma tenne per sé quel pensiero; a prescindere a chi appartenesse il teschio, non voleva rischiare che quell’anima salisse dal purgatorio per tormentarla, o gettarle addosso ancora più sfortuna di quanto già ne patisse.

Concetta era sposata da due mesi, e ogni giorno si recava al cimitero per pregare l’anima pezzentella del suo eroe misterioso, e chiedergli la grazia di avere un bel bambino maschio, che avrebbe reso il padre orgoglioso di essere uomo per aver generato un erede, e non dover quindi subire la vergogna di venir visto come un fallito.

Un giorno la ragazza riuscì a convincere Carmela a seguirla in quello strano posto, assicurandole che se avesse preso anche lei in custodia un teschio a cui chiedere la grazia di trovare marito, sicuramente quell’anima sventurata l’avrebbe esaudita presto, proprio come era successo a lei.

Carmela non ci pensò molto prima di accettare, infondo cosa le sarebbe costato? Avrebbe dato a una di quelle anime in pena nel purgatorio l’onore che tutti i morti meritano; l’avrebbe tolto dalla massa dandogli un posto di tutto rispetto sull’altarino che avrebbe creato per venerarlo… e poi… Concetta aveva ragione… se l’avesse trattato bene, sicuramente quell’anima avrebbe fatto in modo di esaudire i suoi desideri.

E così il giorno dopo seguì la sua amica, scelse tra i tanti teschi quello più chiaro: non perché quel chiarore brillò quasi fosse una luce, non appena i suoi occhi si posarono su di esso, ma perché sentì come una voce che le ordinasse “eccomi, devi prendere me”.

Non si lasciò spaventare da quella voce, ma le obbedì mettendo subito il teschio su una teca di cristallo, che faceva da altarino, dopo averlo pulito bene e lucidato, adornato con tanto di rosario, fazzoletti e cuscini ricamati, lumini e fiori. Ora tutto era pronto affinché l’anima esaudisse i suoi desideri.

 

Era passato qualche mese da quando Carmela aveva seguito la sua amica per la prima volta, e quel teschio, per lei, era diventato ormai una specie d’amico – o forse un’ossessione - a cui confidava le sue frustrazioni, e ogni giorno gli chiedeva di esaudire i suoi desideri perché secondo lei, era un diritto che le spettava, visto che fino a quel momento la sua vita era stata vuota come un guscio d’ uovo. La ragazza era così presa da quelle preghiere, che ogni giorno andava al cimitero ad un’ora sempre diversa, perché non voleva che qualcuno la seguisse e intralciasse le sue richieste, o la distraesse dalle implorazioni, o forse solo perché aveva paura di veder derisa la propria devozione verso quel teschio, anche se sapeva benissimo che nessuno avrebbe osato farlo.

Una mattina, mentre si recava in quel posto, finalmente le sue suppliche vennero accolte: incontrò un giovanotto che le mostrò subito interesse. Era un tipo grassoccio e dai modi altezzosi, e per quello che dimostravano il suo abbigliamento e i modi da damerino, doveva provenire anche da una famiglia benestante. Il suo nome era Felice; a Carmela quel nome sembrò un segno del destino, ed immediatamente accettò di buon grado le attenzioni del giovane, tanto che trascorse solo qualche settimana prima che il ragazzo le chiedesse la mano, subito dopo averne fatto richiesta ai genitori, come usavano fare tutti i gentiluomini di quei tempi, e lei non si lasciò sfuggire l’occasione.

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14/02/10

Grandi Speranze

Grandi Speranze

Ascoltami.

I silenzi divenuti parole cantano

la Canzone della Vita,

da vivere senza passato

per carpirne la Vera Essenza.

 

Respirami.

Inala il profumo dei sensi

che muovono le Stelle sulla strada del Sole

per condurle ai segreti svelati

e sussurrati al tuo sangue,

che ruggendo diventa il mio.

 

Assaporami.

Gusta il tempo che morde

il giorno e fugge via,

seguendo la scia dell’Uragano

smosso dalla Spirale di ieri,

visto dal cerchio cresciuto per domani.

 

Guardami.

Leggi negli occhi dell’attesa

il desiderio d’appartenere al Cielo,

di volare nel Blu sgombro da nuvole grigie,

d’immergersi nella rugiada

delle domeniche d’Estate

fatte di risvegli appena sognati.

 

Toccami.

Scivola lungo le mani strette

sui cerchi dell’Amore,

sfiora le labbra che baciano

il padre del Futuro,

accarezza la voglia che vive di Te

mentre muore con Te.

 

Sentimi.

Se muovi l’Anima all’incrocio

delle Grandi Speranze

troverai la porta di Casa

ad aspettare l’Entrata.

Aprila, Roberto. Ed io sarò lì.

Il senso delle cose è custodito

dal sapere di essere Tua.

 

 

Buon San Valentino

    Amore mio

cuore2

            Ti Amo Roberto

                          

                      La Tua

                        Samanta

 

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